È un pomeriggio dell’autunno del 2008 a Londra, siedo in auto accanto al CFO dell’azienda per cui lavoro, Jeff, faccio parte del management team di una società internazionale di servizi finanziari con sedi a Londra e Singapore, stiamo andando a una riunione poco fuori Londra. Jeff è britannico, corretto, calmo, competente ed empatico, abbiamo una buona intesa lavorativa. “Londra è davvero una città cosmopolita, c’è una grande integrazione di cui andare fieri” commento a un certo punto, “Vero, ma non credo che spesso non ci viene riconosciuto, l’essere aperti all’immigrazione e accoglienti non è una qualità riconosciuta ai britannici, e poi ci sono migranti e migranti, tutta l’accoglienza, l’apertura… ho paura che ci si possa ritorcere contro a un certo punto” risponde Jeff in uno slancio che mi fa oggi intravedere alcune delle radici di Brexit. “In che senso?” domando io. “You see, we don’t all really feel European, for starters, we drive on the right side of the road!”. Jeff la butta sul ridere ma colgo la frustrazione, vari pensieri occupano la mia mente, ma cambiamo argomento e torniamo a parlare del cliente che stiamo per incontrare.